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Considerazioni sull’identità dell’uomo africano

Marzio Gatti da Marzio Gatti
25 Agosto 2020
in Blog
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Considerazioni sull’identità dell’uomo africano
Il mondo occidentale ha sempre pensato di poter indagare l’essere e l’uomo attraverso le sue categorie filosofiche legate a un pensiero forte, razionale e scientifico capace di astrazione e superiore a qualsiasi altra speculazione di pensiero. Si tratta di un’operazione prettamente ideologica che partendo dalle proprie categorie universali del pensiero e dell’attività umana si rapporta al pensiero “altro” partendo dal proprio modello.
 
Possiamo allora sostenere che esistano diversi approcci che offrono una loro visione della realtà e per dare senso all’essere e all’uomo? Certamente si! Tra queste possiamo sicuramente annoverare la filosofia africana nella sua dimensione antropologica. Certo non esiste un uomo che non abbia una filosofia[1] una sua visione del mondo, cioè una sua filosofia; e che, di conseguenza, nessun popolo e nessuna cultura o civiltà, possono essere privi di un proprio pensiero filosofico e di un proprio atteggiamento filosofico nei confronti della realtà.
Decisamente l’aggettivo “africana” potrebbe essere considerato molto estensivo, ma l’antropologia filosofica africana presenta tratti comuni tali da poter presentare un discorso uniforme nei suoi passaggi fondamentali.
Fondamentale punto di partenza per una ricerca storica sulla filosofia africana contemporanea é un’opera scritta nel 1945 Philosophie bantoue Placide Tempels, un missionario francescano che lavorò per molti anni in una missione del Congo. La riflessione dell’Autore sulla religiosità dei Bantu lo porta alla conclusione che il loro pensiero religioso sia un vero sistema filosofico in quanto strutturato più su un pensiero metafisico che magico e superstizioso[2]. Infatti viene evidenziata come l’idea ontologica di “persona” viene espressa nel linguaggio Bantu con il termine “muntu”[3] che viene utilizzato in relazione a quelle situazioni di crisi che l’uomo esperisce durante la sua esistenza che vanno dalla vita alla morte e a tutte quelle situazioni oltre la morte.
 
Il tentativo di sistematizzare il pensiero ontologico Bantu attraverso le categorie filosofiche occidentali è un’operazione che ha segnato le speculazioni successive e che ha prodotto movimenti di resistenza culturale come l’Afrocentricity[4]. Si tratta di una corrente filosofica contemporanea fondata da Molefe Keti Asante secondo la quale occorre ripensare l’uomo attraverso un nuovo paradigma filosofico afrocentrico in grado allo stesso tempo di rivendicare una propria diversità e allo stesso tempo ad affermare l’universalità del proprio pensiero. Una prospettiva differente d’indagine sulla filosofia africana è quella proposta da Ivan Bargna secondo cui “la filosofia africana ha il suo luogo di nascita nel margine. Sorge nelle incerte zone di confine che separano e congiungono spazi socioculturali, politici, mentali e disciplinari diversi: dominio coloniale e lotte di liberazione, Africa e diaspora, saperi locali e linguaggi disciplinari occidentali”[5].
 
Secondo Mbiti la criticità nell’affrontare un concetto come quello di filosofia africana diventa evidente proprio nel momento stesso in cui viene impiegato nell’analisi delle società africane. Infatti per il soggetto africano, “l’intera esistenza è un fenomeno religioso: l’uomo è un essere profondamente religioso che vive in un universo religioso”[6]. Quindi la religione rimanda al problema ontologico dell’essere e dell’esistenza perché compenetra in modo pervasivo ogni aspetto della vita, tanto che diventa difficile operare una netta distinzione tra cosa sia religioso e no. Come sostiene Tshibangu[7] la religione per l’uomo africano non è solo un insieme di credenze, ma interviene nella costruzione dell’identità e nello stabilire i valori morali sottesi ad ogni comunità sociale. La religione svolge perciò un compito fondamentale non solo nell’orientare moralmente la vita dei soggetti umani, ma soprattutto gioca un ruolo essenziale soprattutto nel sostenere la stabilità sociale.
 
Nel contesto generale africano la religione tradizionale fonda le sue premesse teoriche sull’esistenza di tutta una serie di esseri gerarchicamente ordinati che danno vita ad una rappresentazione cosmogonica del mondo organizzata, dinamica e vitale.
Mulago[8] individua gli elementi peculiari della religione africana nella credenza dell’esistenza di due mondi, uno invisibile e uno visibile, che si incontrano e si compenetrano e nella credenza in un Essere Superiore che è Padre e Creatore di tutto ciò che esiste. In una visione cosi siffatta, Dio viene posto al vertice di una struttura rappresentazionale piramidale gerarchicamente organizzata. In questa prospettiva a scalare, gli spiriti della natura e dei morti occupano le posizioni intermedie tra l’Essere Supremo e gli esseri umani in quanto il loro ruolo è quello di intermediari dell’uno verso gli altri.
 
Tutti gli esseri stanno in rapporto relazionale e gerarchico. Quindi, non esiste una distanza metafisica tra il mondo degli “esseri invisibili” e il mondo degli “esseri visibili” perchè appartengono entrambi ad uno stesso ciclo vitale che dà senso a tutto. L’universo spirituale e quello fisico sono in un rapporto di continuità.
Centrale in questa cosmologia è la posizione che l’uomo occupa nel mondo: posto al suo centro ne diventa la “chiave di intelligibilità”. Diventa allora fondamentale il mantenimento dell’equilibrio relazionale tra i diversi esseri che agiscono nel mondo tanto da poter parlare di un’unione simbiotica tra gli uomini con gli spiriti degli antenati e gli esseri spirituali. Si tratta di legami che vincolano il rapporto soprattutto tra gli spiriti dei morti con i loro parenti vivi. In questa visione cosmologica e ontologica il disegno ultimo che accompagna l’uomo non è un possibile congiungimento metafisico con l’essere supremo, ma, una volta persa la sua umanità, può mutare in spirito stato ultimo oltre il quale non è prevista alcuna evoluzione o involuzione.
 
La vita di ogni individuo non termina con la morte fisica perchè il suo spirito si manifesta con una personalità e un potere riconosciuto dal gruppo sociale. Essendo nella gerarchia gli spiriti più importanti nella comunità, essi dirigono la vita dei loro discendenti indirizzando le loro scelte sociali e morali[9]. Occorre quindi evitare di entrare in contrasto con gli spiriti perchè potrebbero mutare nella loro missione e da protettori della casa e della famiglia potrebbero “attaccare” i propri discendenti procurando loro diversi problemi.
L’analisi condotta da Ray[10] riguardo al concetto di persona nel mondo africano lo porta ad affermare che essa si definisce in rapporto alla famiglia e al lignaggio a cui l’individuo appartiene. L’appartenere a una determinata famiglia è il dato fondamentale nella definizione della persona nel presente e nel futuro. Viene qui superata la visione occidentale della particolarità e dell’unità della dimensione soggettiva dell’individuo svincolata dalla società, per proporre un’immagine di uomo vincolato alla propria appartenenza familiare e comunitaria che riflettono un rapporto fondamentale, dinamico e imprescindibile con le forze naturali e gli spiriti. L’uomo con la sua azione deve operare in modo tale da non alterare l’equilibrio armonioso tra i vivi e gli spiriti in quanto la “rottura” di questo legame può far si che il gesto di uno, in quanto appartenente ad una specifica famiglia che appartiene a un determinato gruppo sociale, possa provocare ripercussioni sulla famiglia stessa e la comunità. Le vite dei vivi e dei morti si intersecano. Dopo la morte fisica, mentre il corpo è soggetto alla decomposizione, l’anima e il corpo spirituale si uniscono per continuare a vivere e a manifestarsi nel sogno e nelle visioni.
 
Andrew Walsh[11] ha condotto una ricerca nella comunità malgascia di Ambondromifehy nel nord del Madagascar. In questo contesto gli spiriti dei morti mantengono un legame con il mondo dei vivi. Nonostante il mutamento della loro condizione, rimangono ancorati nel luogo di sepoltura, ma sono soggetti a “sentire” i cambiamenti climatici all’interno delle grotte in cui sono stati sepolti. Se i parenti vivi disattendono alle disposizioni a cui sono tenuti, cioè prendersi cura di loro, gli spiriti si manifestano nei sogni o colpendoli attraverso malattie e disgrazie per richiamarli ai loro doveri rituali. Questo è il segnale che il parente deve portare conforto attraverso la pulizia e, quando è necessaria, la riparazione della bara o attraverso rituali con unguenti di grasso di mucca per favorire una migliore conservazione dei corpi degli antenati. Gli antenati, però, non sono solo causa di problemi. Infatti se si preserva e si cura il loro luogo sacro essi possono diventare una fonte di benedizione nella salute e nei progetti di vita dei loro parenti viventi.
 
Quando un individuo muore il suo corpo viene sepolto, ma il suo spirito rimane come manifestazione del suo potere, della sua personalità e ricoprendo un ruolo nella società. Questi spiriti influenzano la vita dei vivi in quanto continuano a orientare e controllare le vite dei loro discendenti in questa continuità vitale tra spiriti e vivi che devono seguire le loro direttive.
Il possesso degli spiriti non solo permette al soggetto di costruire relazioni umane e di stabilire rapporti, ma in alcuni casi in alcuni individui alla possessione degli spiriti si associa la funzione terapeutica[12] (Karp I. e Karp P. 1979).
Secondo Kipoy Pombo l’uomo africano è un essere che trova la sua identità personale nella relazione individuando tre dimensioni fondamentali che sono la prima con il mondo infra-umano, la seconda la relazione sociale e infine la relazione con l’aldilà.[13]
 
Da un punto di vista ontologico viene superato il dualismo anima-corpo e quindi occorre parlare di persona intesa come una struttura ontologica di diversi elementi che lo determinano come un’individualità specifica. La dimensione corporea, invece, permette all’uomo di esperire il mondo esterno e forma un’entità dell’essere indivisibile cioè l’Io. Anche da un punto di vista etico la libertà dell’uomo africano si realizza all’interno della comunità. E’ una prospettiva che si oppone alla visione individualista del soggetto occidentale che pone il proprio agire soggettivo come elemento libertario per eccellenza. L’agire individuale dell’uomo africano, invece, ha una ricaduta positiva o negativa sulla stessa comunità e il suo esistere è determinato dal seguire i valori sociali elaborati dalla società. Allontanarsi da questi principi o trascurando i propri doveri porta l’essere africano a non realizzarsi come persona fino a non esistere e a non essere.[14] Possiamo quindi affermare che da un punto di vista antropologico e ontologico l’uomo africano è un essere in divenire composto da elementi materiali e immateriali, come l’incarnazione nel bambino di un antenato, e con un andamento circolare che si articola su questi momenti fondamentali: vita-morte-vita.
Il mistero dell’uomo nel pensiero filosofico africano, allora, rifugge dalle derive riduzionistiche dell’individualismo e del soggettivismo occidentale, vivendo una tendenza metafisica e soteriologica[15] che il pensiero occidentale ha totalmente omesso dal suo discorso.
 
 

 
[1] Coreth E., Antropologia filosofica, Morcelliana, Brescia 2004;
[2] Leghissa G. e Tatiana S., L’etnofilosofia del padre Tempels e la filosofia africana contemporanea, Introduzione al testo di Placide Tempels, Filosofia bantu¸o.c., p.10.
[3] Pombo K., Chi è l’uomo, Armando Editore, Roma, 2006, p. 106
[4] Bussotti L., Afrocentrismo e questione religiosa, in M. Gatti, L. Bussotti, L. A, Nhaueleque, Africa, Afrocentrismo e Religione, Aviani Editore, 2010, pp. 131-167
[5] Bargna I., Trasfigurazioni, in Africa e Mediterraneo, 53, Agosto 2005, pag. 2
[6] Mbiti J. S., Oltre la magia. Religioni e culture nel mondo africano, Sei, Torino 1992, p.17
[7] Ibiden
[8] Mulago V., Traditional African Religion and Christianity, in African Traditional Religions in Contemporary Society, edith by Olupona J. K., 1991, pp. 119-132
[9] Honwana, A. M., Espíritos vivos, tradições modernas: possessão de espíritos e reintegração social do pós guerra em Moçambique. Maputo: Promédia, 2002, p. 53
[10] Ray, B. C., African religions: symbol, ritual and community, 2.ed. Upper Saddle River, Prentice Hall, 2000, p. 102
[11] Walsh A., Perserving Bodies, Saving Souls: Religious Incongruity in a Northern Malagasy Mining TownAuthor(s): Journal of Religion in Africa, Vol. 32, Fasc. 3, Passions of Religion, Witchcraft and Sex (Aug., 2002), pp. 366-392
[12] Karp I. e Karp P., “Living with the Spirits of the Dead “ in Z. Ademuwagun et al. (eds ) African Therapeutic Systems. Walttham, Mass: Crossroads Press, 1979, pp. 22-25.
[13] Pombo K., Chi è l’uomo, 2009, p. 106
[14] Ibiden p.119
[15] R. Pannikar, L’esperienza filosofica dell’India, Cittadella, Assisi, 2000

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