Chi si attende grandi cambiamenti nella politica africana di Biden potrà rimanere deluso. Esistono, infatti, linee di continuità nella politica estera americana, e quindi anche in quella africana, da molto tempo e in maniera bipartisan. Così è stato ai tempi della guerra fredda, quando le differenze fra amministrazioni repubblicane e democratiche non era troppo visibili – con la parziale eccezione, forse, di John Kennedy, che appoggiò, almeno a parole, il processo di ottenimento delle indipendenze delle ex colonie europee in Africa.
E così è stato dopo la caduta del Muro di Berlino, quando, da Clinton a Trump, si è puntato sempre di più sul rafforzamento degli interessi americani in Africa, con due obiettivi strategici: in primo luogo, lo sfruttamento delle materie prime africane e la limitazione dell’ascesa economica della Cina, che passa anche dalla sua influenza in Africa; in secondo luogo, il controllo geopolitico del continente, con la presenza di 29 basi militari sparse per tutto il territorio continentale, coordinate dal comando di AFRICOM. L’obiettivo, in questo caso, è far fronte, insieme ai partners locali, al terrorismo islamico che, nel solo 2019, ha portato a 3471 attacchi violenti, superando le 10.000 vittime.
È certo che questi fondamentali non soltanto saranno confermati, con l’amministrazione Biden, ma probabilmente si rafforzeranno. Ne è un esempio quanto sta avvenendo nel nord del Mozambico, in cui due grandi società americane, Anadarko ed Exxon, stanno realizzando investimenti nel settore del gas considerati come prioritari, ma con una situazione assai critica legata ad attacchi di supposti gruppi islamici radicali, che stanno mettendo a repentaglio la sicurezza del business, non soltanto degli americani, ma anche dei francesi (Total), italiani (ENI), portoghesi (GALP), ecc.
Il documento Prosper Africa, approvato nel 2018 dalla Casa Bianca, si basa infatti sul principio della lotta allo strapotere economico della Cina in Africa, con l’idea che è necessario costruire un fronte vasto e comune fra i vari paesi, compresi quelli africani, per combattere Pechino. Va inoltre considerato che l’Africa dispone di 44 voti presso il WTO (organismo sempre più decisivo per le sorti del commercio internazionale) e 54 presso l’Assemblea delle Nazioni Unite, di materie prime assai abbondanti e di un mercato che, dopo il via libera all’accordo per l’area di libero commercio, è costituito da una popolazione di 1,2 miliardi di persone, in costante crescita.
Strumento finanziario del suddetto programma approvato nel 2018 è il Development Financial Corporation, che, dal 2019, ha stanziato più di due miliardi di dollari per progetti in Africa su ambiente e infrastrutture. Proprio il commercio con l’Africa sarà uno degli assi fondamentali anche della politica di Biden verso questo continente.
Vi saranno, probabilmente, anche innovazioni, soprattutto sul piano politico. In The Biden-Harris Agenda for Diaspora sono stati tracciati alcuni elementi anche per la politica africana della nuova amministrazione americana. In primo luogo va evidenziato che il documento si sofferma soprattutto sugli afroamericani o sugli africani residenti in territorio statunitense. In questo caso, le differenze con Trump sono notevoli: la diaspora africana viene rappresentata come una ricchezza per la nazione, impegnandosi il nuovo governo a portare avanti un’attenta politica di ricongiungimenti familiari e di attribuzione della cittadinanza a chi non abbia documenti, ma che comprovi la sua residenza in territorio americano. Famiglia, lavoro, educazione e assistenza sanitaria sono gli assi della nuova, inclusiva politica americana per la diaspora africana.
Quanto ai rapporti con gli stati africani, il documento intende stabilire impegni basati sul rispetto reciproco, rafforzando le relazioni diplomatiche bilaterali e multilaterali. Verranno inoltre riprese iniziative create da Obama, quali quella relativa agli Young African Leaders Initiative, mentre un elemento a oggi poco ponderabile ma forse decisivo è costituito da quanta influenza e da quale orientamento avranno le grandi lobbies finanziarie, tecnologiche e agrochimiche che hanno in larga parte sostenuto l’elezione di Biden. Programmi come la New Alliance for Food Security and Nutrition in Africa, lanciata al G8 del 2012, in piena presidenza Obama, si sono poi trasformati in enormi progetti di usurpazione di terre delle comunità rurali africane, col pieno appoggio della Fondazione Gates e delle più importanti industrie agrochimiche americane, imponendo monocolture di soia, riso e altre commodities per l’esportazione, in luogo di coltivazioni che comunque consentivano ai produttori locali almeno la sussistenza alimentare.
Su poche certezze e su molti interrogativi si basa, al momento, la previsione sulla politica africana della nuova amministrazione democratica americana.