Da un paio d’anni il Mozambico è in guerra. Un paese che nel 1992 aveva raggiunto una difficile pace a Roma, grazie alla mediazione della Comunità di S. Egidio e dello Stato italiano, è tornato alla guerra civile. Certo, si tratta di una guerra più circoscritta rispetto al passato, concentrata nelle regioni centrali del territorio nazionale. Ma è comunque guerra. Gli attori sono gli stessi: da un lato, il partito-Stato Frelimo, dall’altro l’opposizione costituita dalla Renamo, ancora diretta dal leader storico Afonso Dhlakama. Se qualcuno si risvegliasse da un coma durato 25 anni, giurerebbe che il conflitto non è mai terminato. Però oggi manca la condizione che tutti ritenevano essenziale affinché la guerra cominciata nel 1976 e terminata nel 1992 si potesse procrastinare ulteriormente: il clima di guerra fredda, di cui il conflitto mozambicano era figlio. Che guerra à, allora, questa che stiamo vivendo oggi?
Qualcuno potrebbe definirla come una guerra “nostalgica”: mentre, nel mondo, ci si preoccupa delle minacce derivanti dal terrorismo islamico, o della cyberguerra fra Stati Uniti e Russia, in Mozambico ci sono ancora Dhlakama e i leaders della Frelimo a fronteggiarsi come 25-30 anni fa. E a combattersi con le stesse tecniche di allora: imboscate improvvise da parte della Renamo, tentativi di assaltare il quartier generale della stessa Renamo da parte dell’esercito nazionale. Vi sono, però, elementi che inducono a riflessioni un po´più profonde: la comunità internazionale è tornata in blocco per provare una mediazione che ai mozambicani, dopo due anni di estenuanti trattative, non è riuscita. Ancora una volta, la Comunità di S. Egido fa parte del team di mediatori. Mario Raffaelli, che mediò, come sottosegretario agli Esteri, il conflitto precedente per conto del governo italiano, è adesso il capo dei mediatori, per conto dell’Unione Europea. Insomma, sembra che l’idea di una guerra “nostalgica” o “romantica” non sia esattamente la giusta chiave di lettura. Allora come spiegare questo nuovo conflitto, dopo più di vent’anni di (apparente) pace?
Molti potrebbero essere i motivi, e comunque cercare le cause, nelle scienze sociali, è sempre molto rischioso e un po’ vetero-positivista. Molto meglio avanzare ipotesi e provare e comprendere scenari che, dietro l’apparenza di due vecchi nemici che riprendono il loro combattimento, potrebbero celare situazioni del tutto nuove.
Non vi è alcun dubbio, come la vedova di Samora Machel e di Nelson Mandela, Graça Machel, ha sottolineato qualche settimana fa in una conferenza presso l’ISRI (Istituto Superiore di Relazioni Internazionali), che i dieci anni di governo di Guebuza hanno pesantemente accentuato il clima di scontro con la Renamo, che si è vista esclusa da qualsiasi forma di beneficio rispetto alla Frelimo. L’identificazione fra la Frelimo come partito e lo Stato ha subito una accelerazione molto brusca, così come i dividendi economici dei grandi affari (carbone, gas, ma anche edilizia, infrastrutture, telecomunicazioni, banche) si sono sempre più ristretti all’elite politica vicina a Guebuza. Le elezioni (contestatissime) del 2014 hanno poi fatto il resto.
Se tutto questo è vero, non si deve però dimenticare che la spasmodica attenzione dei mediatori è per lo meno sospetta. Vi sono paesi, in Africa, in situazioni di conflitto o di forte tensione più gravi del Mozambico, eppure la comunità internazionale non vi dà così tanta importanza. Sorge spontanea allora l’altra ipotesi, non alternativa ma complementare a quella più “politica” e endogena appena avanzata. In poche parole, essa può essere riassunta con la seguente espressione: “la maledizione delle materie prime”. Proprio quando il Mozambico si scopre avere enormi riserve di carbone, ma soprattutto di gas (con una forte presenza dell’ENI) e probabilmente di petrolio, oltre che di oro e diamanti, ecco che gli appetiti interni si scatenano, usando armi “tradizionali” (guerra per un lato, dura repressione dall’altro) che i partner internazionali non possono più tollerare. Troppi sono gli interessi in gioco da parte di ENI, Anadarko, BP per lasciare che Dhlakama continui a giocare alla guerra con la Frelimo. Il fatto di essere emerso un debito pubblico enorme, a causa di scandali finanziari che hanno coinvolto l’esecutivo precedente (quello diretto da Guebuza, ma in cui l’attuale Presidente, Nyusi, era Ministro della Difesa) e che dovrà passare al vaglio di un audit internazionale, ha ridotto ulteriormente i margini di manovra del Mozambico in quanto Stato autonomo e sovrano.
Ecco, forse il nodo politico principale è proprio questo: dopo la ripresa del conflitto, dopo la scoperta di scandali finanziari governativi inimmaginabili, frutto di una dilagante corruzione, chi metterà le mani sulle risorse minerarie del paese? Avanzare dubbi che possano essere i Mozambicani – anche a causa di loro dirette rersponsabilità – a farlo è quanto meno ragionevole.
Luca Bussotti