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La regressione razzista

Luca Bussotti da Luca Bussotti
9 Giugno 2020
in Blog
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La regressione razzista
La storia dell’uomo è piena di episodi di razzismo, sin dai suoi primordi. Tuttavia, l´avvento del capitalismo su scala globale ha mondializzato e istituzionalizzato tale fenomeni, a partire dalla lunga stagione del razzismo e dello schiavismo. Ogni tanto ce ne ricordiamo, ma senza capirne a fondo l´essenza. Il caso-Floyd, infatti, è soltanto la punta dell´iceberg di un ritorno regressivo di forme di razzismo che mai erano scomparse, ma che si erano molto attenuate con la apparente vittoria del pensiero e delle politiche liberali, le quali, anche se di ispirazione non progressista, avevano puntato tutto sul criterio della “meritocrazia”.
Tale criterio non aveva certo attenuato le differenziazioni sociali fra gruppi etnici, tanto che il principale criterio per misurare l´effettiva inclusione di comunità sfavorite – la mobilitâ sociale – non ha mai fatto segnare grandi progressi. Gli Stati Uniti, considerato il paese delle opportunità per tutti, aveva, nel 1968, un indice di mobilità sociale del 16,8%. Nel 2011 tale indice è rimasto quasi invariato, attestandosi al 22,3%. Ciò significa che un bambino nato in una famiglia povera e carente ha ottime probabilitâ di ripercorrere l’esistenza dei suoi familiari, non uscendo mai da tale condizione.
 
In Brasile la situazione è molto simile, anche se, qui, un accenno di cambiamento si è potuto registrare, soprattutto negli anni di Lula e dell´implementazione di politiche sociali che tendevano a favorire la popolazione di colore, con tutte le sue sfacettature, in larga parte concentrata nella parte più povera del paese, il Nord-Est. Nel 2017, quindi prima dell´avvento di Bolsonaro, il coefficiente di Gini in questo paese (coefficiente che misura la differenza ricchi-poveri) era però ancora di 53,3, attestandosi al settimo posto a livello mondiale, soltanto dopo sei paesi africani, capeggiati dall´Africa del Sud. In Brasile, l´1% più ricco della popolazione concentra quasi il 30% della ricchezza nazionale, molto simile, in questo, al Qatar, lo stato al mondo con la concentrazione più elevata di ricchezza. La struttura schiavista che da sempre ha caratterizzato il Brasile non si è quindi dissolta, ma continua a persistere, nonostante la costituzione e leggi di Affirmative action che però non stanno intaccando i rapporti socioeconomici strutturali di tipo storico-schiavistico.
 
Sia nel caso del Brasile che degli Stati Uniti esiste una sovrapposizione piuttosto nitida fra povertà e appartenenza a gruppi etnici sfavoriti, in Brasile più degli Stati Uniti associato anche all´appartenenza al genere femminile. Sono stati proprio questi due paesi, ultimamente, ad assurgere alla ribalta delle cronache con due casi di razzismo che hanno portato alla morte di due persone di colore. Il caso di George Floyd a Minneapolis è piuttosto noto. Quel che magari vale la pena sottolineare è la futilità del motivo che ha portato a questa tragica fine: una banconota da venti dollari con cui Floyd avrebbe pagato le sue spese in un negozio in cui si era recato, il cui proprietario aveva scambiato per denaro falso. L´intervento della polizia ha poi scatenato tutto ciò che si conosce, dalla morte del malcapitato Floyd alle rivolte della comunità afroamericana (e non solo), per esigere quei diritti reali (e non formali) che a tutti dovrebbero essere garantiti.
 
In Brasile, nella città di Recife (Stato di Pernambuco, il cuore del Nord-Est del paese) pochi giorni fa si è consumato un infanticidio involontario ma connotato da evidenti venature razziste. Miguel Otávio Santana da Silva, di 5 anni, era il figlio dell´empregada (la colf) che, tutti i giorni, nonostante l´epidemia di Coronavirus che sta facendo del Brasile il secondo paese al mondo per numero di casi e di morti dopo gli Stati Uniti, si recava al lavoro presso la casa della famiglia del sindaco del comune di Tamandaré (nei dintorni di Recife). Una importante osservazione, tanto per comprendere il contesto di assoluta promiscuità legislativa che si vive ancora oggi in questo paese, è che la madre di Miguel, Mirtes Renata, era stata assunta come dipendente del suddetto comune, e non direttamente dalla famiglia del sindaco in cui effettivamente lavorava…
 
Mirtes fu incaricata di portare il cane della sua “padrona”, Sari Gaspar Côrte Real, a spasso per Recife, mentre costei avrebbe dovuto prendersi in carico il piccolo Miguel all´uscita del nono piano dall´ascensore – dove la famiglia del sindaco abita -, per portarlo a casa. Cosa che la signora non ha fatto, provocando indirettamente la caduta dal nono piano di Miguel. Una disattenzione che probabilmente costerà molto caro a Sari Gaspar, colorata da indifferenza e disprezzo verso il figlio di una persona che tutti i giorni andava casa sua, ma di cui lei non ha avuto il tempo né la voglia di occuparsi. Neanche per quei dieci minuti in cui la madre del bambino stava fuori col cane della padrona.
 
Ai funerali del piccolo Miguel hanno assistito 4000 persone, resuscitando i fantasmi di un processo storico di esclusione mai sopito, e colorato da tinte razziste e schiaviste.
A nessuno sfugge l´appartenenza politica dei due presidenti di Stati Uniti e Brasile. Sarebbe riduttivo incolpare loro rispetto a situazioni stratificate e in larga parte “immobili”. Tuttavia, è altrettanto chiaro che la forma di capitalismo che questi due presidenti stanno portando avanti racchiude in sé anche una importante componente razzista, figlia di una ristrutturazione economica che ha elementi di forte continuità con le origini del capitalismo in questi due paesi, e non solo. È quanto Walter Johnson, nel suo recente libro The Broken Heart of America: St. Louis and the Violent History of the United States, sostiene, parlando di “capitalismo razzista”.
 
Partendo da questa interessante ipotesi, quella cioè di un capitalismo che ha di nuovo bisogno, urgente bisogno, di nuovi schiavi da prendere nelle aree più povere della popolazione mondiale, sarà forse possibile comprendere più a fondo la resipiscenza di movimenti e partiti di estrema destra che spingono sempre più verso soluzioni segregazioniste a autoritarie. Se in molti paesi paesi africani, Africa del Sud in primo luogo (dove, non a caso le forme di razzismo e xenofobia dei neri sudafricani verso i neri dello Zimbabwe, del Mozambico, della Somalia che lavorano nelle ricche miniere del Transvaal sono all´ordine del giorno), in parte degli Stati Uniti e dell´America Latina queste nuove forme di schiavismo e razzismo capitalista si concentrano ancora nelle grandi piantagioni (non molto differenti dalle raccolte di pomodoro nel Sud Italia), in parallelo, in tutto il mondo soprattutto “sviluppato”, altre forme di moderna schiavitù sono necessarie a questo capitalismo: call-centers, riders, precari in generale non rappresentano che l´altra faccia di questo “capitalismo razzista” in cui la discriminazione verso le persone di colore si accompagna con quella di donne, giovani e “diversi”, anch´essi necessari per garantire l´accumulazione di ricchezza in sempre più poche mani.
Il tentativo di instaurare regimi sempre più autoritari in tutto il mondo (la regressione democratica di molti paesi africani e dell´Est Europa è significativa da questo punto di vista) non è che la manifestazione politica di rapporti economici che devono garantire quel modello di sviluppo e quel modello di relazioni sociali. Con buona pace di tutti i Floyd e i Miguel di questo mondo.

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