Almeno dagli anni Sessanta i movimenti sociali, in Europa così come in molte altre parti del mondo (pensiamo ai movimenti di liberazione in Africa), hanno costituito la principale spinta propulsiva rispetto a una realtà che si stava sempre più istituzionalizzando, a iniziare dall’azione dei partiti politici. Il Maggio Francese e, poi, tutta l’ondata post-1968 hanno dato vita a movimenti sociali che si sono nel tempo concentrati su tre grandi assi: 1. I diritti civili, con particolare riguardo per la libertà di scelta, soprattutto da parte della donna, nelle sue varie fasi di vita; 2. La questione ambientale, che trovò una sua prima elaborazione teorica di alto livello nel Rapporto al Club di Roma del 1972 e un suo primo risultato istituzionale con la Dichiarazione di Stoccolma del 1972; 3. La partecipazione nella sfera pubblica da parte dei cittadini, più diretta rispetto al modello di democrazia occidentale che si era instaurato nel secondo dopoguerra.
La distanza fra movimenti sociali e partiti si accentuò sempre di più anche in Italia, dove le proteste per un sistema politico corrotto e poco inclusivo, in buona sostanza conservatore anche da parte dei grandi partiti di sinistra, PCI compreso, fece in modo che movimenti sempre più significativi si aggregassero intorno a temi specifici, prima, ma poi anche a questioni generali, strategiche, a partire dall’emergenza ambientale. La lotta contro la globalizzazione ingiusta, personificata dal movimento No-Global, con importanti manifestazioni a Seattle nel 1999 e a Genova nel 2001 aveva fornito interessanti prospettive per tutti coloro che vedevano nella globalizzazione un fenomeno che doveva essere rivisto radicalmente, e che avrebbe potuto contribuire a cambiare anche l’atteggiamento della politica verso un neo-liberismo imperante.
I fatti dell’11 settembre cambiarono anche la storia dei movimenti sociali di opposizione al sistema neo-liberale, proponendo, come primo punto dell’agenda, la lotta (globale) al terrorismo, e quindi il tema della sicurezza come il principale a livello mondiale. Da allora in poi, questi movimenti hanno segnato il passo, facendo emergere altre forme di protesta, la maggior parte delle quali di segno sicuritario.
È stato questo il clima con cui, sommariamente, si è giunti al fatidico 2020, l’anno del Coronavirus, o meglio, l’anno in cui, dopo la sua scoperta nel 2019, se ne sono sentiti gli effetti nella pratica. L’inizio è stato buono, nella drammaticità della situazione: una sorta di generica solidarietà umana si era infatti diffusa un po’ dappertutto, e in molti vaticinavano per il post-pandemia un nuovo umanitarismo. Previsioni prive di qualsiasi fondamento scientifico e che si sono dimostrate completamente errrate.
Il solidarismo umanista ha presto lasciato il campo alla rabbia sociale, che si è estrinsecata in forme di protesta anche brutali, quasi tutte concentrate nella lotta ai vaccini. Il movimento no-vax, che è quanto di più irrazionale si possa immaginare, ha raccolto i rancori e la disperazione per un modello, appunto quello neo-liberale, che aveva già accumulato morti e feriti (dal punto di vista economico), aumentati a causa della pandemia. La sfiducia generalizzata nelle istituzioni, scienza compresa, ha poi fatto il resto. In questo contesto, i partiti di sinistra hanno scelto, ancora una volta, il massimo grado di istituzionalizzazione, il politically correct, insomma. Il che ha avuto senso per diffondere il messaggio di una necessaria vaccinazione di massa e del rispetto delle misure di contenimento al COVID, ma senza però sollevare la questione di fondo: quella di un modello neo-liberale che non funziona, e che dovrebbe essere combattuto non da posizioni di retroguardia (no-vax), bensì di “attacco”. Questo “attacco” aveva un facile obiettivo: i Big Pharma che speculano sulla tragedia del Covid.
Alcune organizzazioni che lottano per i diritti civili e umani, e che non si ispirano certo al maoismo, come Oxfam, hanno da tempo denunciato il vero scempio in corso, a cui tutti gli Stati e, quindi, tutti i cittadini, sono sottoposti: si è calcolato che Pfizer e Moderna stanno facendo pagare ai paesi ricchi un costo astronomico per ogni dose di vaccino, corrispondente a 24 volte il costo di produzione. Tale situazione ha anche condannato i paesi dell’emisfero sud, soprattutto quelli africani, a una mancanza di vaccinazione: la media attuale, in Africa, non va oltre il 6% della popolazione vaccinata, ed è da lì che, probabilmente, si sono originate alcune delle ultime varianti, tipo la Omicron, particolarmente contagiose, proprio a causa della libertà che il virus ha avuto nel muoversi in un continente non protetto.
C’è da chiedersi perché questo tema – il monopolio dei vaccini da parte dei Big Pharma – appassioni poco, mentre è proprio su questo che dovrebbero indirizzarsi le proteste e l’indignazione delle persone, anziché su battaglie sul no-vax o il no-green pass.
Lo scandalo è ancora maggiore se si pensa che queste case farmaceutiche hanno beneficiato di almeno 8,25 miliardi di aiuti pubblici per produrre i loro vaccini. Moderna, addirittura, si è messa in uno scontro col National Institute of Health degli Stati Uniti a causa della patente del vaccino da essa prodotta. La storia sarebbe anche più lunga, rispetto a Moderna: dal 2015, infatti, questa società avrebbe ricevuto ingenti fondi dal National Institute of Allergy and Infectious Deseases degli USA per sviluppare una serie di vaccini, mentre almeno un miliardo di dollari è stato ricevuto da Moderna da strutture pubbliche americane per sviluppare lo specifico vaccino anti-COVID. Si pensa che l’esborso pubblico totale degli Stati Uniti verso Moderna per tale vaccino sia stato di 2,5 miliardi di dollari. Inoltre, tre ricercatori federali hanno lavorato a braccetto con quelli di Moderna per portare avanti il vaccino anti-COVID. Moderna, allora, come accade ormai usualmente per i nuovi vaccini sin dal secolo scorso, ha chiesto di brevettarlo, escludendo le strutture federali per la licenza più importante, quella conosciouta come mRNA-1273. Tale decisione ha lasciato a Moderna la libertà di come usare il vaccino, come e dove distribuirlo e a quale prezzo.
Quello di Moderna è soltanto un esempio (l’intera vicenda può essere letta nel seguente site: https://theconversation.com/why-moderna-wont-share-rights-to-the-covid-19-vaccine-with-the-government-that-paid-for-its-development-172008, scritto da Ana Santos Rutschman) di come i Big Pharma stiano gestendo a loro piacimento tutta la partita dei vaccini. Sembrerebbe abbastanza ovvio che il terreno di lotta e di scontro dovrebbe essere lì, su questo meccanismo che accentua i difetti del neo-liberalismo, facendo spendere miliardi di euro o dollari ai governi per comprare vaccini che, al contrario, dovrebbero costituire un bene pubblico, perché ne va del futuro dell’umanità, o – nei casi peggiori – tagliando fuori interi continenti dalla protezione al COVID. Se le risposte governative hanno inciso quasi esclusivamente su “chisure”, ora verso Brasile e India, ora verso l’Africa Australe, lasciando intravedere una logica emergenziale e del tutto congiunturale di affrontare il problema, dal lato dei movimenti sociali ogni giorno vediamo sfilare rabbiosi cortei di no-vax in mezza Europa, senza che ci si chieda perché la protesta abbia avuto questa “deviazione”. Ci si è dimenticati della sostanza, restando, dal lato istituzionale, alla subordinazione verso i Big Pharma e tutto ciò che ne consegue, e dal lato dei movimenti sociali cercando di raccogliere le briciole di una battaglia che, oltre che sbagliata nei contenuti, è anche destinata a fallire miseramente…